Testo di Ermanno Gardinali
La chiesa parrocchiale di S. Stefano è stata consacrata nel settembre del 1795 dopo una critica edificazione durata decenni. E’ stata costruita sui resti dell’antica pieve la cui adiacente canonica è ancora ben rilevabile nei resti incorporati in una dipendenza della casa parrocchiale.
Lo stile architettonico evidenzia i molteplici e differenti interventi operati nel corso della sua costruzione. Nel 1965 sul frontale è stato apposto un bassorilievo opera dello scultore Cassino. Nell’interno sono da rilevare il bellissimo altare barocco della Madonna del Rosario, con i 15 medaglioni dei misteri e i Santi Domenico e Caterina in legno scolpiti, l’altare di S. Bovo, che gli sta di fronte, il coro ligneo, provenienti dalla soppressa chiesa della Madonna delle Grazie. Preziosissime sono le tavole dell’Assunta di Giuseppe Giovenone (1573). Altrettanto prezioso è il pavimento in mosaico molto elaborato, del 1851, che caratterizza, nella sua grande maestosità, l’interno dell’unica navata. La chiesa è sede delle nobili sepolture di cinque familiari dell’ultimo feudatario, il marchese Orsini Roma, da Milano. Nella prima cappella a destra dell’entrata, è stata posta una lapide con la cronologica successione dei prevosti robbiesi, dal 1057.
Pala di Giuseppe Giovenone il Giovane (1524-1609) nella chiesa parrocchiale di S. Stefano a Robbio (PV)
Relatore: dott. GRIMALDI ENZO
Il dipinto in esame è una pala d’altare di grosse dimensioni, un tempo attribuita genericamente ad un non meglio precisato Maestro di scuola vercellese del XVI° secolo, posta oggi nella navata sinistra della Parrocchiale del centro principale della Lomellina occidentale e un tempo (prima della ricostruzione della parrocchiale) probabilmente situata nell’abside dell’antica chiesa di S. Maria delle Grazie, il monumento più ricco di storia di Robbio, risalente all’epoca di Liutprando (800 d.C. circa). Quest’ultima chiesa fu eretta, come la successiva chiesa di San Pietro, ove nell’abside mi ha favorevolmente impressionato lo stile foppesco dell’Angelo affrescato nel XV° secolo da uno sconosciuto pittore lombardo dell’epoca, lungo la celeberrima Via Francigena, che attraversava la Lomellina in epoca medioevale.
Il dipinto in questione, non ha meritato finora l’attenzione degli studiosi, se si esclude l’ormai “lontano” contributo di Giovanni Romano, illustre docente di Storia dell’Arte Moderna presso l’ateneo torinese (la cui prima pubblicazione, riguardante l’opera di G.Giovenone il Giovane risale al 1964, pp. 76-79) che più recentemente, ha ripreso questi temi in una sua monografia, concernente i cartonii dell’Accademia Albertina di Torino. Non vi erano quindi singole ricerche in merito, prima di questo mio studio, dedicato volentieri ad uno dei protagonisti della pittura tardo Rinascimentale a Vercelli, oltre che agli amici della Pro Loco di Robbio e soprattutto al sig. Vercellino e allo studio fotografico “Giemme Foto” di Giuseppe Pozzato che mi hanno aiutato nella ricerca, fornendomi la necessaria documentazione fotografica in merito.
Il dipinto raffigura l’Assunzione della Vergine e i Santi apostoli e nella predella superiore Dio Padre attorniato da quattro Angeli, che si appresta all’incoronazione di Maria assunta in Cielo. E’ questa un’iconografia abbastanza classica tra i pittori vercellesi del periodo e a tal proposito si vedano i precedenti sul tema, dipinti da Bernardino Lavino e da Gaudenzio Ferraci, che ha lasciato una superba testimonianza sul medesimo soggetto nella chiesa di San Cristoforo a Vercelli, negli affreschi che lo impegnarono nel quarto decennio del 500′ nelle Cappelle ai lati del presbiterio della suddetta chiesa vercellese, ove il pittore valsesiano, lasciò quello che probabilmente è il suo capolavoro assoluto ad affresco, che ha condizionato per molti anni la pittura della scuola vercellese, quale modello insuperato per grazia e sapienza descrittiva tra gli artisti coevi della zona. L’Assunzione di Robbio si rifà al cartone n° 320 (opera di Giuseppe Giovenone il Giovane) conservato nella Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Torino, ed è così esemplare la ripresa in pittura di ogni minimo dettaglio del disegno, da fornire un caso esemplare di rapporto diretto tra cartone preparatorio e opera corrispondente. L’Assunta conservata nella parrocchiale di S.Stefano, impoverisce un po’ i toni del cartone (che precede probabilmente di diversi anni l’opera pittorica) e le fisionomie vivacemente disegnate, spianando i volti e attenuando i sentimenti. La tavola, non risulta menzionata nei documenti d’archivio relativi alla chiesa di S.Stefano a Robbio, e forse pervenne alla Parrocchiale solo dopo la sua ricostruzione settecentesca. Il paesaggio dello sfondo presenta in quest’opera Gerusalemme con le sue mura. Tale paesaggio non è tracciato nel cartone conservato all’Accademia Albertina e attribuibile con certezza a Giuseppe Giovenone il Giovane, così come il dipinto di Robbio, per il quale Silvia Ghisotti, nel suo contributo sui dipinti riferibili al cartone dell’Accademia Albertina raffigurante l’Assunta (contenuto nella monografia del 1982 precedentemente citata) ravvisava, prima del restauro, l’intervento rilevante della bottega del pittore vercellese, figlio del più noto Gerolamo Giovenone.
Il dipinto pur presentando un certo scadimento, rispetto al precedente cartone, perché ogni psicologia sembra allentarsi in una vuota indifferenza, è sicuramente riferibile a Giuseppe Giovenone il Giovane, come mi ha confermato, proprio in questi giorni, Giovanni Romano. Il tratto secco e nervoso, le figure allungate e il loro compiersi in uno spazio quasi esclusivamente di primo piano, pur in presenza di sovrapposizioni, con la retrocessione a sfondo del brano paesistico, inducono ad un raffronto stilistico con le opere della tarda maturità del pittore. Lo stile è, infatti, riferibile alla produzione del nono decennio del XVI’ secolo, e il dipinto è quindi databile in anni prossimi al 1580 – 85′. Ciò è confermato dalle altre opere conosciute e coeve del Giovenone il Giovane quali, la Deposizione nella parrocchiale di Salussola e la Deposizione Olgiati al Museo F. Borgogna di Vercelli, oltre all’esempio dato dal cartone n° 319 dell’Accademia Albertina, raffigurante l’Andata al Calvario, preparatorio al dipinto conservato nella piccola Pinacoteca dell’Arcivescovado a Vercelli, risalente agli stessi anni dell’opera di Robbio e per il quale i riscontri stilistici risultano più puntuali. Nello stesso arco di tempo, il pittore era impegnato negli affreschi della facciata dell’Arcivescovado di Vercelli (oggi scomparsi), il cui committente monsignor Bonomi, uomo di vasta cultura letteraria, commissionò a Giuseppe Giovenone il Giovane, diversi dipinti in questo periodo.
La committenza religiosa, legata alla diocesi di Vercelli, assume un ruolo preminente nell’attività pittorica del Giovenone come di altri pittori coevi, cresciuti nella stessa scuola e attivi nella seconda metà del XVI’ secolo.
L’Assunta della parrocchiale di S.Stefano, come in precedenza il cartone, si rifà ai modelli già sviluppati dal padre di Giuseppe, oltre che dal caposcuola del Rinascimento nelle zone orientali del Piemonte, Gaudenzio Ferrari e dal suo principale continuatore e allievo a Vercelli, il già citato Bernardino Lanino, che in anni prossimi a quelli cui mi riferisco, dipinse un’Assunzione della Vergine (datata 1578) conservata in Arcivescovado a Vercelli, che mi pare (anche stilisticamente) l’esempio più prossimo all’opera di Giuseppe Giovenone in esame. Non disponiamo di notizie certe riguardanti il dipinto di Robbio, almeno finora, non conoscendo il committente dell’opera né la sua originaria collocazione.
112 Apostoli raffigurati in adorazione, dimostrano un’intensa emotività espressiva, e ciò si vede nei lineamenti tesi e pronunciati, che fanno da contraltare al viso sereno della Vergine, in atteggiamento di preghiera verso Dio Padre, attorniata da una schiera d’Angeli che la seguono festanti e gloriosi. Gli Angeli in Gloria attorno alla Madonna, si distaccano dall’espressione mistica e religiosamente “tesa” degli Apostoli, che guardano ammirati la salita al Cielo della Vergine. Secondo me si tratta quindi di un’opera notevole della maturità di Giuseppe Giovenone, che basandosi su uno stile ancor legato al manierismo e ai temi controriformisti (che avevano dominato l’iconografia religiosa nella seconda metà del Cinquecento), riprende gli insegnamenti del padre e di Gaudenzio Ferrari, rielaborandoli con sapienza.
Questa mia ricerca intende riportare all’attenzione che merita l’Assunta di Robbio, grazie alla collaborazione del Prof. Romano, gettando (almeno spero) un po’ di luce su un Maestro della pittura vercellese, che “chiude” la stagione Rinascimentale di Vercelli e della maggiore scuola pittorica piemontese del periodo. Un autore poco noto al grande pubblico, ma sicuramente meritevole di lodevoli menzioni.
Il dipinto studiato è stato catalogato dalla Sovrintendenza artistica di Milano e rappresenta probabilmente l’unica opera del pittore vercellese, in provincia di Pavia e in terra lombarda. In Lomellina, vi sono altri due dipinti che si rifanno a cartoni di Giuseppe Giovenone il Giovane, conservati all’Accademia Albertina di Torino. I cartoni in questione sono il n° 355, raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, dal quale deriva la tavola della Parrocchiale di Castelnovetto Lomellina e il n° 358, che raffigura il medesimo soggetto, ripreso poi nel dipinto della Parrocchiale di Palestro. Entrambi i dipinti però, all’incirca coevi ai rispettivi cartoni preparatori e da collocarsi nell’ultimo decennio del Cinquecento, sono opera della bottega del pittore vercellese, visto l’evidente scadimento che le due opere pittoriche presentano rispetto ai cartoni, disegnati da Giuseppe Giovenone il Giovane, nella fase terminale della sua attività. L’Assunta di Robbio è stata recentemente pulita e il restauro ci ha restituito pienamente gli originali colori, dipinti su tavola da Giuseppe Giovenone il Giovane, oltre quattro secoli or sono. Io né ho presa visione personalmente in più occasioni.
Descrizione dell’opera
Da una tenebra primitiva, che ricorda l’esistenza di Dio prima della creazione della luce, si diffondono i tenui colori dell’aura e delle nuvole. La luce si riflette su infiniti piccoli angeli bambini che pulsano nella vibrazione della divinità.
Su un piano sovrapposto sta la figura centrale della Vergine, che emana luce propria dopo averla ricevuta dall’alto. Il viso è rialzato, l’espressione è soffusa di pace, la corporatura solida e slanciata è protesa con una leggera tensione nella serenità e naturalezza della sua preghiera. A un lato quasi verticale corrisponde la curva ogivale dell’abito e del mantello che conferiscono un’eccezionale effetto di soave stabilità.
Così scopriamo che all’impostazione verticale fa eco un movimento di curve e di panneggi che imprimono alla figura quasi un leggero vortice. Le mani congiunte si portano in avanti in segno di offerta e accettazione.
Nel dipinto non c’è un unico piano, però non viene usata una vera struttura prospettica ma piuttosto una quasi intuitiva sovrapposizione di strati diversi.
Curiosamente gli angeli non sono tutti sullo stesso piano benché siano disposti simmetricamente a coppie. La coppia alta è arretrata rispetto al piano della Vergine ed è composta da un angelo bambino e da un adolescente con uffici diversi. L’angelo biondo fiammeggiante di rosso vermiglione esalta la potenza dell’evento cui corrisponde, all’altro lato, un angelo assorto nella gloria di Dio.
Lo spazio mediano si trova pressappoco sul piano della Vergine ed esprime un momento di medizione in due atteggiamenti diversi: lo stupore e la lode.
Il piano inferiore esprime invece la lode e la venerazione ed è posto davanti alla figura della Vergine. Il movimento degli angeli non è casuale ma disposto secondo una diagonale che va dall’angelo col braccio proteso a quello che suona il liuto.
La seconda diagonale, data soprattutto dal colore che si stempera in verdi più scuri e verdi più chiari, va dall’angelo meditante a quello che suona l’arpa. In questo modo sull’immobilità delle nuvole s’inserisce un movimento naturale non vorticoso, quasi che alcuni angeli imprimessero una vibrazione più forte di altri.
Nella raffigurazione dell’Assunzione anche i colori non sono casuali. L’azzurro del manto è richiamato dall’abito dell’angelo mediano, il verde ritorna nelle ali e nei panneggi degli angeli, il rosa dell’abito veste anch’esso due angeli ma il rosso, che è simbolo della potenza divina, si muove con gli angeli essendo loro i messaggeri della gloria di Dio.
Tuttavia l’influsso angelico arriva sin sulla terra con un’immediatezza iconografica che mostra i piedi degli angeli a poca distanza dai volti degli astanti.
Alcuni visi apostolici denotano la tradizione iconografica del Cinquecento vercellese ma altri sono fortemente caratterizzati.
Anche qui abbiamo movimenti diversi. Un movimento centrale dato dal braccio che si eleva per stupore e per schermarsi dalla grande luce che scende dal cielo. La rotazione prosegue nella figura molto flessa all’indietro e in basso con l’apostolo piegato in avanti e le spalle dei due apostoli in primo piano. In rispondenza alla parte superiore sei figure di apostoli, tre da un lato e tre dall’altro, si dispongono in diagonale ma lo spazio terreno è interamente occupato dalle figure laterali. L’azione risulta compatta sia in cielo che sulla terra. Poco più che un’annotazione è il paesaggio che fa da sfondo con i suoi verdi che compattano l’azione degli apostoli sulla terra.
La scena evidenzia un contesto quasi campestre probabilmente riferibile ad un ambiente rurale e l’opera assume riflessi popolareschi. Straordinaria l’evidenza dei piedi sia degli apostoli che degli angeli.
La stessa compattezza notata nella parte inferiore della pala si nota nella cimasa, dove dominano colori scuri e il rosso come se la Maestà di Dio emergesse da un’oscurità senza tempo. Questa parte denota maggior rigidezza quasi fosse intesa solo a coronamento della scena principale. Forse sul mondo variabile degli uomini, sui cerchi delle gerarchie angeliche dipinte dal Giovenone, la gloria di “colui che tutto muove” è una dimensione di stabilità al di fuori del tempo e dello spazio.
Probabilmente la cimasa è ascrivibile alla scuola del pittore vercellese e appare successiva all’Assunta, non per la concezione d’insieme comunque unitaria ma per differenze coloristiche e di disegno.
Note bibliografiche:
AA.VV. Gaudenzio Ferrari e la sua scuola: i cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina di Torino, marzo-maggio 1982; Accademia Albertina di Torino (catalogo della mostra) s.n. 1982. Monografia curata da G. Romano.
Alcune illustrazioni si possono ritrovare nel sito Internet dedicato all’Arcivescovado di Vercelli. Indirizzo telematico: www.net4u.it